(Château-Thierry, Champagne, 1621 - Parigi 1695) poeta e favolista francese. Di origine borghese, studiò - senza entusiasmo - teologia e poi diritto, e finì con l’assumere la carica paterna di ispettore delle acque e foreste. Nel 1647 sposò la quattordicenne Marie Héricart. Nel 1658 si trasferì a Parigi, separandosi di fatto dalla moglie. Presentato al ministro delle finanze Fouquet, ne ottenne una pensione e fu tra i frequentatori abituali del castello di Vaux; quando, nel 1661, il suo protettore cadde in disgrazia, invano fece appello alla generosità di Luigi XIV. Dal disagio economico nel quale si trovava uscì grazie alla protezione di alcuni importanti amici e soprattutto amiche: la duchessa di Orléans, la duchessa di Bouillon, Madame de la Sablière. Frequentò poeti e letterati, tra i quali Racine, Molière, Boileau, Madame de la Fayette, ma anche ambienti «irregolari», come la Société du Temple. Fu eletto all’Académie française nel 1683. La F. scrisse commedie, poemi (Gli amori di Psiche e Cupido, Les amours de Psyché et de Cupidon; Adone, Adonis, 1669) e Racconti e novelle in versi (Contes et nouvelles en vers, 1664-71), desunti da L. Ariosto, da G. Boccaccio, da Poggio Bracciolini e dai novellieri del Cinquecento, accogliendo spesso temi licenziosi, tanto che venne definito «un Aretino mitigato», ma è passato alla posterità per le sue Favole (Fables), uscite a Parigi nel 1668 (libri I-VI), nel 1679 (libri VII-XI) e nel 1694 (libro XII). La materia delle favole è tratta da Esopo, da Fedro, dal Romulus medievale, dalle raccolte di exempla, dai favolisti rinascimentali e dal Libro dei lumi attribuito all’indiano Bidpai: autori e testi coi quali La F. intrattenne, in epoca di trionfante classicismo, un rapporto di simpatia e di consonanza. Questo rapporto è uno degli aspetti in cui si rivela la sua insofferenza verso una rigida codificazione del gusto e il suo amabile anarchismo. Altri aspetti sono il linguaggio (che non esclude arcaismi, termini tecnici delle arti, dei mestieri, dell’agricoltura, della caccia e anche espressioni della convenzione preziosa e cortigiana) e la versificazione libera e irregolare. La stessa scelta della favola di animali come oggetto della propria arte rivela in La F. un’ottica perlomeno spostata rispetto alla generale temperie aristocratica del secolo. Non le leggi e la virtù, ma il capriccio, l’astuzia e la forza costituiscono la sostanza di una commedia umana animalizzata; c’è nella favola di animali un rovesciamento di prospettiva, un’idealizzazione negativa. La raffinata semplicità di La F. ha coscienti radici nello spirito popolare, in cui ha trovato del resto eco e fortuna durevoli. Una differenza, del resto, si può cogliere tra i primi sei libri di favole e i rimanenti: i primi sono ancora legati al modello didattico e moralistico della favola per bambini, mentre gli ultimi trattano ormai una tematica etico-politica assai più vasta, e si caricano di messaggi più profondi. Fluidità, naturalezza, una trasparente eleganza sono i caratteri salienti dell’arte di La F.; il pretesto iniziale, la narrazione e la morale conclusiva sono collegati tra loro da una serie di quasi innavvertibili passaggi. Spesso la varietà di registri (dotto e parlato, nobile e volgare) raggiunge singolari effetti ed acquista risonanze etiche di grande efficacia. Il critico Leo Spitzer ha parlato di «arte della transizione» in La F. e l’ha accostata a quell’uniforme scorrevolezza senza sforzo in cui gli antichi vedevano uno dei pregi dello stile mediano, e che chiamavano «suavitas». Si tratta di una qualità difficile da cogliere per un orecchio moderno. La F. è forse l’ultimo autore in cui la poesia si costituisca attraverso l’imitazione di un discorso orale capace di familiarità e di abbandono. Un «miracolo di cultura» sono state definite le sue favole, mentre nel suo autore molti vedono il più grande lirico di Francia.